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Giorgio Pressburger

Per Luciano

La vita di un individuo dipende da chi ha avuto modo di conoscere nel corso della sua esistenza: conoscere personalmente o solo attraverso letture o altre forme del sapere e dell’informazione. Chi ha avuto la fortuna di incontrare davvero qualcuno che gli avesse aperto nuove strade nel mondo, ne resta per sempre trasformato. Così è capitato a me con Luciano. Non è esprimibile a parole come questo scambio avviene, né perché, né quando. Qui vorrei soltanto ricordare un pomeriggio piovoso a Milano, durante il quale dovevo incontrare il Maestro Berio per un lavoro comune: le musiche di scena per Il Malato Immaginario di Molière. Stavo attraversando un periodo di difficoltà. Era capitato un brutto incidente nel mio lavoro di allora. Un incidente dovuto a incomprensioni ideologiche, a rozzi e ingiusti interventi da parte di uomini di partito, che poi si sono rivelati dei voltagabbana, opportunisti della peggiore specie. Ero abbattuto, ma non ne parlavo con nessuno. In quelle condizioni incontrai Luciano. Parlammo delle musiche di scena del Malato Immaginario. Improvvisamente Luciano mi disse (eravamo in casa sua): «Ti vedo triste. Che cosa hai?». C’era un tale accento di sincerità nella sua voce, di semplice, non formale interessamento, che rimasi colpito.
Non volevo opprimerlo con i miei problemi, per cui farfugliai qualcosa di vago nella mia risposta, ma comunque ero sorpreso dalla sua dimostrazione di profonda sensibilità. Pochi riconoscevano allora l’esistenza di questo tratto nella sua persona. «Vieni, ti porto a mangiare in un ristorante giapponese» mi disse con tono allegro. Era la prima volta che potevo assaggiare la cucina giapponese, il mondo giapponese. (Mio figlio, tanti anni dopo decise di dedicarsi allo studio di quella lingua e di quella cultura). Dopo cena mi sentii sollevato: non avevo più la brutta sensazione di solitudine e di sfiducia. Mi ricordo nei dettagli quella serata, ricordo come ne cambiò il colore da grigio in qualcosa di luminoso.
Qualche mese dopo, stavo a Trieste, chiuso in casa a far progetti per uscire dalla mia condizione di “impasse”. Un giorno mi arrivò una lettera, un foglietto, scritto da Luciano. Mi pregava di cercare in regione una bottiglia di Piccolit, un vino friulano allora molto raro, e particolarmente pregiato. Aveva letto di quel vino in una lettera di Beethoven, in cui anche il grande compositore tedesco era in cerca del Piccolit. «Poi lo berremo insieme, quando vieni a Roma» mi aveva scritto Luciano. Feci fatica a trovare quel vino: non era ancora famoso come lo è oggi. Ma dopo una settimana di ricerche lo trovai, in una tenuta vicino a Cividale del Friuli. Gli spedii la bottiglia. Dopo qualche altro giorno trovai un lavoro che mi rimise sulla strada che allora stavo cercando. Poi bevemmo quel Piccolit, in un pomeriggio d’estate, a Fregene, in un capanno, sulla spiaggia. C’erano due tre bambini e Luciano fabbricò per loro un aquilone. Anch’io mi sentii leggero, lanciato verso l’alto. Nel giro di un altro anno cominciò una nuova fase della mia vita: piena di soddisfazioni e conquiste, anche su me stesso.
Incontrai ancora molte volte Luciano, e nel festival che dopo quindici anni cominciai a dirigere a Cividale, una volta feci mettere in scena un balletto, con musiche di Luciano. Il titolo di quel balletto è: Per la dolce memoria di quel giorno.

Giorgio Pressburger